Film/Documentario, durata 119 minuti
Regia di Anton Corbijn
Con Sam Riley, Samantha Morton, Craig Parkinson, Joe Anderson, Nigel Harri

 

la vicenda di ian curtis, il cantante e leader dei joy division, morto suicida a 23 anni nel 1980, in una ricostruzione che inizia con la sua adolescenza a manchester e si addentra tanto nella sua carriera artistica quanto nella sua vita personale, fino a culminare con la morte avvenuta poco prima del tour americano che avrebbe potuto elevare i joy division da band di culto dell'area post punk a fenomeno musicale di più ampia portata.
 

 

17 maggio 1980: alla vigilia del primo tour americano dei Joy Division,  Ian Curtis chiude drammaticamente la sua parabola terrena lasciandosi alle spalle un matrimonio precoce, una figlia, due album (il secondo, dopo Unknown pleasures, è Closer, ed uscirà postumo), una relazione con la giornalista belga Annik Honore e soprattutto il peso dell’epilessia.
Era fragile, Ian Curtis, benché circondato dall’amore, protetto dai suoi amici. Ultime suggestioni prima di stringere il cappio nella cucina dell’appartamento di Barton Street: La ballata di Stroszek, angoscioso film di Werner Herzog su un uomo psicologicamente distrutto visto in televisione e The Idiot di Iggy Pop sul giradischi. Realizzato con un budget limitato a circa 5 milioni di euro, sceneggiatura tratta dal libro Touching from a distance di Deborah Curtis (pubblicato in Italia con il titolo Così vicino, così lontano), Control è il primo lungometraggio diretto da Anton Corbijn, noto come fotografo, scenografo e regista di video per U2, Depeche Mode, Nick Cave, Nirvana e molti altri nomi del panorama rock. Dell’attore Sam Riley (ha interpretato il frontman dei Fall Mark E. Smith in 24 Hour Party People diretto nel 2002 da Michael Winterbottom; come musicista è leader dei 10.000 Things), il quotidiano dublinese Irish Times ha scritto: “Interpreta Curtis in maniera così persuasiva che pare sia nato per essere lui”.

La musica e le immagini in  bianco e nero  hanno anzitutto il potere di restituire un’epoca ed un pugno di personaggi legati a un’idea della musica radicalmente diversa da quella attuale. Metà dei ’70, periferia inglese degradata, Bowie e i Roxy Music suonati a volume alto sull’impianto stereo economico di casa, i primi esperimenti con le droghe, le prime liriche buttate sulla carta. Poi c’è il tormento, la cupezza di Ian Curtis, il suo sguardo sconsolato puntato sul mondo, sulle insicurezze umane.
Campi e controcampi, volti catturati nella quotidianità. Corbijn affronta tutto questo con eleganza formale e serietà d’intenti, offrendo allo spettatore una chiave di lettura dall’interno: il mistero Ian Curtis non aveva niente a che vedere con il cliché della rockstar ricca, drogata e circondata da modelle.
Era un poeta, e un ragazzo insicuro, aggredito dalle responsabilità della vita, da ciò che ogni giorno, ciascuno di noi potrebbe irrimediabilmente lasciarsi sfuggire di mano.

 

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